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Milano o la cittŕ. Cosě, attraverso frammenti di esistenze eccentriche, questi racconti vogliono rappresentare che cosa vuol dire vivere insieme in una cittŕ oggi. E che cosa vuol dire vivere una cittŕ nell'epoca in cui sembra smarrita la possibilitŕ di riconoscerne un'identitŕ. Giorgio Fontana raffigura "la capacitŕ di Milano di essere piů reale di ogni sogno o perversione" attraverso l'estate "atlantica" di un giovane sbandato, l'estate degli sgomberi dei centri sociali. Per Helena Janeczek la metropoli emerge come un ologramma colorato dagli sprazzi di conversazione di un ragazzino che parla dentro un gioco elettronico con un partner che sta lontano, a Caltanissetta, e, a poco a poco, diventa presente e amico piů dei compagni vicini. L'ingegnere slavo di Di Stefano confessa al commissario la sua assurda ribellione perché "Milano non era piů il paradiso grigio che avevo conosciuto all'arrivo". L'esperienza urbana del supplente di Marco Balzano culmina nell'incontro con un alunno ricoverato in una casa alloggio per pazienti psichiatrici. Neige De Benedetti trova la cittŕ in un tram perché "l'unica cosa di cui si parla a Milano č partire". E "dove voi siete io sono giŕ stato, dove vado io č dove voi non arriverete" conclude il suo racconto il fuggitivo di Francesco M. Cataluccio: una specie di eterno viandante, profugo siriano mezzo ebreo che nelle architetture pretenziose della stazione rivive luoghi percorsi da generazioni passate.